Inside out: la storia di un’accettazione
Francesco ha compiuto undici anni e si avvicina velocemente all’adolescenza.
Ma com’è successo? E soprattutto: quando?
Sarà stato dopo la caduta, il colpo con la testa contro lo spigolo della cucina e la corsa al pronto soccorso?
Dopo la sindrome del quadernone o ancora dopo la prima cotta?
Mentre sono qui a chiedermelo, vivo ogni giorno domandandomi se saprò essere all’altezza della situazione quando mi si presenteranno di fronte i momenti più difficili. Perché ok, non è detto che arriveranno ma meglio essere preparati a gestire la malinconia, la tristezza apparentemente fine a sé stessa, la voglia di solitudine, la paura e, speriamo, anche tanta, tantissima gioia. Perché anche la gioia e la felicità vanno gestite nel modo giusto per non diventare scontate e inflazionate.
Quando ho sentito parlare di Inside Out il titolo mi ha incuriosita e ho cominciato a fare delle ricerche per capire cosa si fossero inventati stavolta quei geni della Disney Pixar.
In questo caso, mi piace immaginare che il film sia nato da una domanda che Pete Docter si è fatto in un momento in cui era benvoluto dall’ispirazione: cosa accadrebbe se i sentimenti avessero sentimenti?
E così, per raccontare la complessità del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, Docter ha inventato questi personaggi antropomorfi e coloratissimi, Gioia, Tristezza, Disgusto, Paura e Rabbia (oltre che Bing Bong che è di fatto il mio preferito e un sacco di addetti ai lavori di contorno) per rappresentare le emozioni. Multicolor e cangianti come solo in questa fase sanno essere.
Nel week end sono andata a vederlo con i bambini.
Il film in realtà è un viaggio imperdibile nel mondo della psiche e per questo potrebbe confondere i bambini più piccoli che potrebbero non associare i personaggi alle emozioni provate da Riley – la bambina protagonista.
L’intero film si svolge nella mente di una ragazzina di undici anni, Riley appunto, e racconta, in maniera semplice e accattivante, l’architettura della mente umana e il suo funzionamento.
Gioia è la prima a irrompere nella vita della neonata Riley. Poi arriva Tristezza. Gli altri sentimenti, Paura, Rabbia e Disgusto, arriveranno pian piano che lei crescerà. Ebbene sì, i neonati non sanno cosa sia la paura.
Insieme, tutte queste emozioni, gestiscono la giornata della piccola Riley e l’archiviazione dei suoi ricordi che, a loro volta, contribuiranno a formare la sua personalità.
Inside Out: la storia
Riley è nata e cresciuta in Minnesota dove ha i suoi amici, ha imparato a pattinare sul ghiaccio e a giocare a Hockey e dove ha costruito tutti i propri ricordi d’infanzia.
Un giorno è costretta a trasferirsi a San Francisco con i genitori.
Questo è il momento in cui succede qualcosa ai suoi sentimenti. Tristezza e Gioia, per errore, vengono espulse dalla sala di controllo e, al comando, si ritrovano Rabbia, Paura e Disgusto totalmente incapaci di gestire la situazione da soli.
Tristezza e Gioia, catapultate dall’altra parte del cervello di Riley, attraverseranno la memoria a lungo termine, il subconscio, le isole della personalità, Immagilandia e tanti altri posti. In questo lungo viaggio incontreranno personaggi improbabili che faranno capire loro come poter collaborare per far star bene Riley.
Come hanno parlato di Inside Out
I critici cinematografici concordano sul fatto che Inside Out è scritto molto bene: risulta divertente ma anche acuto.
La migliore recensione, secondo me, arriva da A. O. Scott che sul New York Times ha lodato principalmente la capacità del film di aver risolto uno dei grandi problemi dell’arte: cioè in che modo rappresentare i processi decisionali interiori in maniera credibile e immediata. Un film che ha trasformato dei concetti astratti in tangibili.
Variety ha scritto che la rappresentazione delle emozioni, personificate in figure dalla forma e voce diversa, è molto efficace e trasversale.
La mia opinione su Inside Out
[Contiene piccoli spoiler]
Durante la proiezione ho pianto. Più volte.
Ho trovato geniale il rendere umano un sentimento associandogli altri sentimenti.
L’ho trovato un film dalla magica capacità di rivolgersi a ciascuno di noi, permettendoci di riconoscere nell’esultanza e nei tormenti della piccola Riley le stesse gioie e le stesse sofferenze che tutti abbiamo provato nel corso della nostra infanzia.
Ho adorato Bing Bong, l’amico immaginario di Riley fatto di zucchero filato rosa che è stato il primo a emozionarmi e a strapparmi lacrime piene di tristezza e commozione. “Portala sulla luna per me” è ormai il mio “Nessuno può mettere baby in un angolo”.
Bing Bong rappresenta quel porto sicuro al quale rinunciare per protendersi verso i nuovi orizzonti della crescita, come un abbraccio caldo e sicuro, che infonde tranquillità, ma che non può tenerci legati per sempre.
Ma quello che di più mi ha lasciata sorpresa è il coraggio del regista e della Disney Pixar di presentarsi al proprio pubblico con un messaggio nuovo, diverso da quello che viene veicolato di solito attraverso i film di animazione, quelli in cui l’happy ending è assicurato.
Con Inside Out il messagio è rassicurante ma sincero: un’apologia della tristezza come componente inscindibile della nostra identità di esseri umani.
Il film racconta come per arrivare alla felicità sia necessario, spesso, passare attraverso la tristezza e la malinconia, sentimenti con i quali è importante imparare a convivere, perché crescere, anzi vivere, significa principlamente imparare a gestire la sofferenza.
E se ve lo state chiedendo, non è un messaggio pessimista ma realista che spiega come tristezza e malinconia facciano parte di noi allo stesso modo come felicità, gioia, rabbia, disgusto, paura e altre emozioni.
Qui vi lascio con una diapositiva. Lui dice che somiglio a Gioia (soprattutto negli atteggiamenti) e che è sicuro che io e il regista ci conosciamo.
Qui invece un video divertente: mi consola pensare al fatto che no, non sono la sola che piange quando va a vedere un film Disney Pixar.
Voi avete visto Inside Out? Vi è piaciuto?