I genitori non sanno cos’ è la classificazione PEGI
Nonostante la mia autorità genitoriale sfiori lo zero ho comunque un ottimo feeling con i bambini.
Voglio dire che, in fin dei conti, li sgrido veramente poco, perché me ne danno poche volte occasione, ma soprattutto litighiamo poco.
Ultimamente però capitano discussioni un po’ più frequenti con Francesco e l’oggetto della discussione è sempre la stessa: i videogame.
Ve ne intendete di console e videogame? Io un (bel) po’ e per sfortuna di Francesco, quando esce un gioco nuovo lo provo quasi subito nei vari negozi di tech. Ultimamente vanno di moda questi giochi tipo Grand Theft Auto V (meglio noto come GTA V) o Call of Duty o Assassin Creed che hanno la violenza come unico comun denominatore.
Ma non così per dire, ci sono sparatorie, maceti che staccano braccia come il tonno si lascia tagliare dal grissino, risse per strada, teste che cadono, occhi che schizzano come razzi, prostitute che vengono uccise per essere derubate dei soldi appena guadagnati con una prestazione sessuale e, per giunta, scene di sesso esplicito. Il tutto condito da un pesante turpiloquio.
Se vi state chiedendo perché mi tocca discutere con Francesco in merito a questi giochi il motivo è quello che leggete nel titolo: i genitori (evidentemente) non sanno cosa sia la classificazione PEGI.
Cioè lui non dovrebbe neanche conoscerli questi videogames, e invece ragazzini di 10 anni che frequentano la sua stessa classe si ritrovano ad avere questi giochi come regalo di buona condotta da parte dei genitori. Videogames che hanno una classificazione PEGI 18.
Mi sembra giusto: sei un bravo bambino? Bene vieni qua che vai istigato almeno un po’ alla violenza nuda e cruda, al crimine e al femminicidio. Senza manco i filtri di Instagram. E siccome io non ci sto alla filosofia del “ma è solo un gioco” ma ci vedo dentro tanti germogli di cattiveria, mi rifiuto di accettare questo tipo di ignoranza da parte di quegli stessi genitori che fanno truccare la data di nascita al figlio per farlo iscrivere su Facebook.
Allora parliamo un attimo di GTA V: Francesco ha cominciato a tormentarmi con questo gioco da poco prima di Natale.
Che gioco è? Si tratta solo del quinto episodio di una delle serie più famose nella storia dei videogiochi. Signore e signori: oltre 144 milioni di copie vendute in tutto il mondo. In pratica il prodotto di maggior successo della storia dell’entertainment. Mica birra, patatine e rutto libero eh.
Per questo, se tu genitore mi dici di non sapere di cosa parla questo gioco, scusa ma mi sembra tanto che mi stia prendendo per i fondelli o che voglia fare lo struzzo nascondendo la testa sotto la sabbia che è sempre una delle soluzioni più gettonate.
Ma se anche volessi crederci, graziandoli, quando lo hanno acquistato lo hanno fatto foderandosi le pupille col domopack?
Perché vada anche la copertina che sprizza violenza da tutti i pori, ma il PEGI? Quel numero bianco scritto a caratteri cubitali e a prova di scemo in basso a destra sulla copertina anteriore e per sicurezza anche nella parte posteriore, non se lo sono filato manco per niente?
Oppure, molto bellamente non sanno cosa sia. E questo, per me, nell’era in cui un bambino nasce già con un profilo Twitter e un paio di console in casa, è veramente assurdo.
Perché io, seriamente, non voglio discutere di quanto mi facciano schifo giochi in cui uno che uccide una donna che, tra l’altro fa la prostituta, acquista punti, del fatto che sarebbero da censurare o da vendere solo con PEGI 80. Quello che invece mi scoccia molto è che quando ho fatto notare a questi bambini della presenza di un codice, la classificazione PEGI appunto, che indica se un gioco è adatto o meno alla loro età, hanno risposto con una risata e con un sarcastico “ah certo, bisogna sempre rispettare le regole!” sgomitandosi l’un l’altro.
Mi ha provocato disgusto e repulsione l’indifferenza di questi genitori. Perché se un bambino deride le regole è perché il genitore gli ha insegnato questo. Punto.
Perché voi lo sapete cos’è il PEGI 18? Leggete la descrizione che c’è sul sito:
«Adatto alla maggiore età, questo gruppo implica la descrizione di scene di violenza molto realistiche, a volte così pesanti da indurre sentimenti di disgusto e repulsione. Per violenza si intende non solo la presenza di ferite, mutilazioni e morte di personaggi assolutamente realistici, ma anche l’eventuale presenza di immagini o rumori che possano alterare il normale stato psicologico della persona, provocando sensazioni di paura, angoscia o stress; è inoltre presente una quantità di sangue che spesso si può modificare od annullare grazie a delle opzioni. Il linguaggio può essere estremamente volgare, le scene di sesso possono avere connotazioni esplicite così come l’uso di sostanze stupefacenti. Esempi di serie sono: Assassin’s Creed, God of War, GTA V e Call of Duty».
Io lo so che forse abbiamo molte più responsabilità rispetto ai nostri genitori ma questo significa esserne consapevoli prima di fare dei figli.
Non riesco a concepire che i bambini abbiano accesso a un pc dove non sia attivo il Parental Control così come non riesco a concepire dei genitori che mettono in mano ai figli dei videogames simili.
È come se vostro padre, ai tempi, avesse regalato a vostro fratello l’abbonamento a Playboy. A dieci anni. Che poi Playboy poteva istigare al maschilismo ma non alla violenza e al femminicidio.
Non conosci il contenuto di un videogame che tuo figlio vorrebbe? Chiedilo a Google! O provalo in un negozio.
Non sai come si attiva il Parental Control? Chiedilo a Google! O chiama un tecnico.
Non sai come si usano i Social Network? Impara quali sono i rischi prima di far iscrivere tuo figlio!
Insomma pensavo che la situazione del digital gap tra genitori e figli fosse critica ma è peggio.
Pensavo che almeno alcuni genitori si prendessero la briga di spiegare ai figli cosa è buono e cosa è sbagliato, che le regole, se stabilite, vanno seguite, che esistono comportamenti che in tv o nei videogames sono esasperati e che vanno ridimensionati alla vita reale. Mi sbagliavo.
Perché per me fidarsi del proprio figlio (questa è una delle risposte alle mie domande “ma io mi fido di mio figlio, mica farebbe mai quello che vede in quel videogame”) non significa slegargli le ali e lasciarlo andare senza regalargli almeno una diapositiva del bene da guardare quando è confuso.
Questo per me è insegnargli a vivere come se fossimo nella giungla.