La sindrome del “e se viene qualcuno”?
Giorni fa ho invitato un’amica di Swami a giocare. Cioè in realtà l’ha proprio invitata lei.
Le cose sono andate così: io messaggiavo su Whatsapp con la mamma di S. (l’amichetta incriminata) e Swami mi chiede: “con chi parli?”.
Io le spiego che sto parlando con la mamma di S., finisco di scrivere una frase, poggio il telefono – con Whatsapp ancora aperto – sul divano e mi allontano.
Swami con nonchalance prende il cellulare e registra un messaggio vocale per la sua amica S.
Tempo dieci minuti di lancette ed era già sotto casa nostra. Così, per dire che agende pienissime hanno queste bimbe di oggi.
E niente, loro giocano, pasticciano, fanno cose, ridono e io mi divido tra pc e divano.
Dopo un paio d’ore e una cameretta nella quale sembra scoppiata una bomba termo atomica dico loro che andiamo via, andiamo a prendere una cioccolata calda (“con la panna montata?” “Sì certo, con la panna montata”) e a riaccompagnare a casa S.
Le piccole erano felici dell’idea e sono anche riuscite a strapparmi la promessa di portarle una mezzoretta al parco. E così mi sono fottuta il pomeriggio in cambio di due sorrisi. E vabbé.
Ma la cosa divertente non è questa.
La cosa divertente è la faccia di S. quando ha capito che stavamo uscendo.
Le labbra arricciate mentre ci mettevamo il cappotto.
Lo sguardo incredulo.
La tipica espressione da suocera inviperita, quell’espressione che non puoi imparare a fare, la erediti insieme a tutto il corredo cromosomico e il cucuzzaro di DNA.
E finalmente, non potendosi più trattenere, sbotta con la genuinità che solo le parole di un bambino possono avere: “Ma signora – che già se mi chiami signora cominci a starmi sulle palle – stiamo per uscire?”
“Sì”
“E qui?”
Avevo capito dove voleva arrivare ma volevo che me lo dicesse lei. Non mi sarei mai persa quell’espressione.
“E qui cosa S.?”
“E qui lasciamo tutto così, in disordine?”
“Certo, avete giocato. Avreste potuto rimettere a posto ma lo farò io insieme a Swami quando rientriamo”
“Sì e se poi viene qualcuno?”
“S. quando noi rientreremo sarà sera e quindi è poco probabile che riceveremo una visita”
“E se invece poi all’improvviso viene qualcuno?”
Ragazzina te l’hanno mai detto che la signorina Rottermeir era solo un’invenzione di qualche mente malata?
“Beh se anche arrivasse qualcuno vedrebbe solo la verità”
La conversazione continua giù per le scale e poi in auto.
“Cioè?”
“Cioè che è una casa in cui vivono dei bambini e quindi è normale che ci siano giocattoli in ogni dove o un po’ di disordine non credi?”
“La mia mamma dice che con i giocattoli si gioca solo sul tavolo e che poi si rimettono al loro posto subito. E io e mia sorella non possiamo mai usare più di due giochi contemporaneamente!”
Qui interviene Swami: “Ma davvero? E se vuoi giocare alla scuola con tutte le bambole e tutti i peluches come fai? Io li metto sempre in fila sul divano e faccio finta che la televisione era la lavagna, io ero la maestra e gli spiegavo le cose. Poi a volte me li dimentico lì e la mamma li rimette a posto”
Ma S. non si perde d’animo. Lei è proprio una brava donna di casa wanna be: “Eh ma la mia mamma non ha tempo per rimettere a posto tutti i giochi. Lei deve lavare, pulire, stirare e avere la casa in ordine”
“E perché?” risponde Swami. Lascio che le due si confrontino e poi mi piace ascoltare Swami che parla di me. Sapevo che presto lo avrebbe fatto.
“Perché quello è il suo lavoro no?”
“Mah… – Swami con la faccia di chi proprio non riesce a comprendere – la mia mamma lavora sempre al computer sai? Molte volte io vado a dormire e lei sta ancora lavorando anche quando piove – non chiedetemi quale fosse l’associazione di idee – e anche quando è molto stanca ma deve consegnare degli articoli”.
Ma dove le sente ‘ste robe? Ah sì, ho una vaga idea.
Ma continua: “E poi lei ci prepara sempre cose che ci piace mangiare come i Sofficini, le patatine fritte, le spinacine – ora mi mandano i servizi sociali – però noi abbiamo l’Ernesta!”
“E chi è l’Ernesta?”
“Un’amica della mamma che viene da noi quando la casa deve essere pulita o quando bisogna stirare”
“Ah no, mia mamma dice che è meglio se da noi non viene mai nessuno e se vengono degli amici le dà fastidio perché sporcano e mettono tutto in disordine e quindi se poi viene qualcuno trova un disastro”.
Swami confusa le fa: “Ma chi è questo qualcuno che viene all’improvviso a casa vostra?”
S. risponde piccata: “Ma che ne so io! So solo che potrebbe venire all’improvviso e trovare disordine in casa e questo non va bene!”
“E chi lo dice?”
“La mia mamma e anche la mia nonna”
“Mamma ma anche da noi viene qualcuno?”
“No amore, da noi viene solo gente con nome e cognome e non può fare disordine perché c’è già”
E quindi ecco la sindrome del “e se viene qualcuno” spiegata da due cinquenni.
Io ho riso veramente molto, solo che poi, sinceramente, mi ha fatto molta tristezza.
Insomma costringere i bambini a giocare con solo due giochi per volta mi sa tanto di regola da penitenziario, soprattutto se non hai un altro lavoro che non sia quello della casalinga. Che ok, è un lavoro, ma se fai solo quello puoi concederti il lusso di far giocare i bambini e al limite insegnare loro a rimettere a posto no?
Illuminatemi con i vostri pensieri.
Photo credit: Poliziotto su Marte (license)